Il percorso di accettazione di una malattia cronica come l'emicrania

A come ACCETTAZIONE dell’emicrania

In questi giorni, dopo un agosto abbastanza negativo e pesante che ho riassunto nel mio diario, ho ripreso ad allenarmi in palestra (ero ferma da marzo). Lo sforzo fisico per me è sempre stato un trigger molto difficile da gestire, ma ho la testa dura e in questi anni non mi sono mai arresa: ormai conosco così bene la mia emicrania che so cosa posso fare e cosa non posso fare.

E ancora una volta la consapevolezza è stata la chiave che mi ha permesso di iniziare il percorso più difficile che chiunque soffre di emicrania affronta nella propria vita: l’accettazione della malattia.

L’accettazione di una malattia cronica è dettata dalla necessità, quindi non è né gioiosa né facile (inutile raccontarsela); è per questo che accettare significa elaborare e lavorare con se stessi/e per creare una differente condizione di vita.

Le 4 fasi del percorso di accettazione

Tutti gli esseri umani, comprese le persone cefalgiche, fanno progetti, hanno sogni e coltivano ambizioni. Scontrarsi con la diagnosi di una malattia neurologica invalidante che non ha cura e che ha un impatto molto pesante sulla qualità della vita sconvolge i nostri piani e ci costringe a fare numerosi cambiamenti e a rielaborare le nostre aspettative su “cosa faremo e chi diventeremo”.

Secondo quanto emerso da diversi studi in materia, il percorso di accettazione della malattia ha 4 fasi, simili a quelle che si sperimentano quando si subisce un lutto:

  1. Lo shock | La prima volta che mi sono sentita dire «soffri di emicrania, rassegnati perché non c’è cura e te la terrai a vita» andavo al liceo e avevo 17 anni. La mia reazione? Ero piuttosto confusa e disorientata perché quelle parole per me non avevano senso. Ci sono voluti almeno altri 6 anni (a 23 anni ho fatto la mia prima visita in un centro cefalee) per iniziare a capire cosa significava concretamente quella frase e quale sarebbe stato l’impatto sulla mia vita.

  2. La negazione e lo spostamento | Quando ho iniziato a risentire pesantemente delle limitazioni imposte mio malgrado dall’emicrania (serate con gli amici annullate, difficoltà nello studio, lavorare in preda al dolore, rinunciare allo sport, ecc…) ho iniziato a mettere in atto un meccanismo di difesa tipico dell’essere umano: la negazione: «non è vero che non si può guarire, non sono malata, l’emicrania non è una malattia» erano le frasi che mi ripetevo costantemente. Oltre alla negazione, spesso si reagisce mettendo in atto lo spostamento, ossia il trasferire l’attenzione su altri problemi pur di non focalizzarsi su quello che realmente ci preoccupa.

  3. La rabbia e la depressione | Quanta rabbia ho covato dentro di me negli anni… faccio fatica a quantificarla. La rabbia verso me stessa, le sfuriate contro le persone a me più care e poi la tristezza, quella profonda, perché non ero all’altezza dei miei standard, delle aspettative che avevo nei confronti della persona che avrei voluto essere.

  4. L’accettazione | La scelta di dire basta alla rabbia, la volontà di reperire tutte le informazioni e le risorse necessarie per capire fino in fondo la mia malattia, per trovare le strategie per gestirla e che mi avrebbero aiutata a creare una nuova me.
Le quattro fasi del percorso di accettazione della malattia cronica

Un’altra informazione che non dobbiamo assolutamente dimenticare è che il percorso verso l’accettazione dell’emicrania, inoltre, è influenzato da 3 fattori:

  1. La specificità della nostra malattia | i sintomi che si sperimentano prima, durante e dopo un attacco di emicrania incidono e limitano notevolmente la nostra vita quotidiana.

  2. La nostra personalità | Ciascun individuo interpreta e dà significato alla malattia in modo diverso e affronta il processo di elaborazione con tempistiche differenti.

  3. Il contesto sociale | Il tipo di lavoro che facciamo, la presenza/assenza di una rete di supporto (amici e/o familiari) e la risposta del contesto sociale in cui viviamo hanno un peso notevole sul modo in cui affrontiamo la malattia.

Accettazione non è sinomimo di rassegnazione

Ciò che sostengo a gran voce ogni giorno è che le persone che soffrono di emicrania non sono persone con un segno meno sulla carta di identità e, per quanto sia difficile, dobbiamo allontanarci il più possibile dall’idea e dalla convinzione che accettazione della malattia significhi rassegnazione.

Rassegnarsi significa «accogliere senza reagire fatti che appaiono inevitabili».
E allora, ditemi, vi ci ritrovate in questa definizione? Io, no, per nulla.
Sì, è vero, la nostra malattia è legata a doppia mandata al nostro DNA, è inevitabile che ci renda la vita complicata, ma io non ho ancora incontrato una persona che soffre di emicrania disposta ad arrendersi alla malattia senza lottare.

Cosa possiamo fare per accettare la malattia

Non esiste un manuale delle giovani marmotte che ci insegni come fare ad accettare la malattia; nel mio percorso di accettazione ho capito che ci sono alcuni step fondamentali su cui dobbiamo rimanere focalizzati/e:

  1. Ottenere una diagnosi | Avere tra le mani una diagnosi corretta è il primo e più importante passo di questo processo; la conoscenza è uno strumento molto potente perché quando abbiamo una diagnosi chiara abbiamo la possibilità di imparare come ci si prende cura di sé e di individuare le terapie sintomatiche e di profilassi adeguate. La diagnosi ci aiuta anche ad accettare che è inutile ostinarsi nella ricerca della causa (che è scritta nel nostro DNA), mentre è importante focalizzarsi sui fattori scatenanti.

  2. Costruire la propria normalità | Vivere con l’emicrania significa scontrarsi costantemente con dei limiti, ma chi non ne ha? Se iniziamo a svincolarci dall’idea che esiste un paradigma di normalità a cui dobbiamo corrispondere, scopriremo che siamo assolutamente in grado di analizzare i nostri limiti e creare una nostra routine che ci aiuti a gestire la malattia nei vari ambiti della vita quotidiana. Routine che deve essere esente dal giudizio altrui.

    Bisogna essere molto pazienti, analizzare l’andamento della nostra emicrania utilizzando il diario della cefalea e con il supporto dell’équipe medica che ci segue, provare e fare dei test: è così che negli anni ho scoperto quali odori mi davano fastidio, quali cibi tra quelli assolutamente vietati erano effettivamente dei trigger per me; ho scoperto che sì, non posso più correre, ma posso allenarmi stando attenta a non sollecitare in modo eccessivo il mio fisico dal punto di vista del cardio, che se mi faccio una doccia calda quando l’attacco sta per arrivare il mio dolore esplode senza pietà alcuna e così via.

  3. Creare la propria rete di supporto | Familiari, amici/amiche, colleghi/colleghe, gruppi di confronto e di auto aiuto, psicologi e altri specialisti di cui ci fidiamo sono tutte figure fondamentali per combattere la spiacevole sensazione di essere incompresi/e e soli/e. Abbiamo bisogno di parlare della nostra malattia e di confrontarci liberamente senza vergogna e senza il terrore che ci venga appiccicata un’etichetta negativa. Abbiamo bisogno di riprenderci il diritto di stare male quando non possiamo fare altrimenti.

    Il confronto e il dialogo ci aiuteranno a capire che non è colpa nostra (la malattia non è una colpa), che non dobbiamo rassegnarci all’idea che il dolore si debba sopportare e che non si possa fare nulla per gestirlo e che la nostra vita non è soltanto costellata di rinunce.


L’accettazione non è un percorso lineare che ha un inizio e una fine, è come un muscolo che va costantemente allenato e ci sono giorni in cui sembra di dover ricominciare dall’inizio, di dover ripartire dallo scardinare la negazione e la rabbia, proprio come mi è successo durante le ultime vacanze. Proprio perché è un percorso complesso in cui a volte è necessario ripercorrere più volte le stesse tappe, avere dei punti di riferimento saldi è molto importante per non perdere mai la tenacia che ci contraddistingue.


Se volete raccontarmi il vostro percorso verso l’accettazione, non importa in quale tappa del percorso voi siate, vi aspetto nei commenti oppure sulle mie pagine social.

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